Vasco, 62 anni, cattura milioni di fan perché dice cose che pensano tutti e non si vergogna mai a raccontare se stesso, svela desideri nascosti con quello strano stupore dipinto sul viso duro e puro, decisamente rock come quando grida ai fan:”Tenete duro, ce la farete, ce la farete!”
Vasco ha appena terminato i sette concerti negli stadi di Roma e MIlano con un nuovo record di 403 mila biglietti venduti, incasso circa venti milioni di euro.
Vita spericolata è la sua eterna filosofia, anche adesso che gli anni passano e lui si rasa a zero per anticipare, come sempre, gli eventi. Così si racconta
Spericolata in che senso, Vasco?
“Nell’83 erano cinque anni che lavoravo ma senza casa, senza un disco. Facevo solo concerti, vivevamo on the road. Avevo tagliato i ponti con tutti, ero collassato in mezzo a un oceano, non vedevo la riva né da una parte né dall’altra. Avevo già scritto Albachiara, Siamo solo noi, Fegato spappolato.
Il provocatore era già nato, sconsigliato da tutta la stampa, avvertivano che poteva trasmettere il virus della droga. Avevo colpito a Sanremo con Vado al Massimo nell’82, il patron Ravera che mi aveva voluto, mi aveva detto: “Devi farti vedere, torna come vuoi”.
E lei?
“Mi dicevo: non posso tornare a fare il matto. A un certo punto Guido Elmi (autore degli egregi arrangiamenti metallici di questo tour, ndr) mi porta uno che suonava il basso a Bologna, in un gruppo rock. A Bologna facevano tutti rock, e mi dicevano che ero commerciale perché avevo scritto Albachiara. Comunque è venuto con un nastrino, Tullio Ferro: era bellissima, la musica. Sono trasalito, e ho cominciato a collaborare”.
Un parto lungo, quello del testo?
“L’ho ascoltata per mesi, non mi veniva mai una cosa giusto. Poi un giorno che eravamo a suonare in Sardegna, si è messo a piovere. Sono salito in macchina e ho messo il nastro. E ho pensato: “Voglio una vita…”.
… Maleducata?
“Nel senso del non educata secondo i vostri parametri, avevo tutti gli Anni Settanta alle spalle, quando la maggioranza voleva fare la rivoluzione ma con il lavoro in banca. Io no, ho avuto la possibilità e ho detto di no alla banca. Figurarsi i miei…”.
… Spericolata?
“Nel senso di vivere pericolosamente, alle Nietzsche che diceva: “Dall’esistenza la fecondità più grande e il diletto più grande è vivere pericolosamente. Costruite le vostre città sulle pendici del Vesuvio””.
… Piena di guai?
“Una vita non garantita, non con il lavoro sicuro come si aveva allora. Lo dico per i giovani di adesso”.
… Di quelle che non dormi mai?
“Ero sempre sveglissimo, sapevo dove volevo e dove non volevo andare. Scrivevo canzoni che raccontavano ciò che vedevo. Non è che la realtà mi piacesse, ma la canto lo stesso”.
… Una vita come quella dei film?
“Nei film non ci sono mai parti monotone della giornata, solo quelle essenziali”.
… Una vita come Steve McQueen?
“Era il mito della mia generazione, nel film La grande fuga saltava i reticolati con la moto. Bello, dannato e spericolato. Steve McQueen sì, James Dean no. Con McQueen c’era solo il piacere, non le macerazioni di James Dean. Mi proposero di tradurre Vita spericolata in tedesco, e invece di McQueen ci misero Errol Flynn. Figurarsi, non diedi il permesso. Niente traduzione”
“Non ha mai pensato di utilizzare una forma artistica diversa dalle canzoni?
“Ho trovato questa, un’altra non c’è. Mi è sempre e soltanto interessata la musica: così, crei una bolla di emozione”.
Ma che cos’è una canzone?
“E’ una forma artistica straordinaria di consolazione. A uno che sta male puoi togliere il dolore? No! Allora la parola giusta può consolare, cambiare l’umore di una giornata. Se poi la parola è salvifica, la dici con il sottofondo della musica. Noi siamo quelli che portiamo un po’ di gioia: mentre si balla, non si muore”.
Morale che Vita Spericolata finì a Sanremo.
“Quando è venuta, ho pensato che era quella giusta: “Ora vado da Ravera e la canto”. Per me era tutto finito, avevo spinto molto l’acceleratore. E da lì in poi, con il successo, sono stato messo in croce. Ho vissuto i 22 giorni di galera come la crocifissione, sono stato due/tre anni senza scrivere”.
Ma quanto tempo ha lavorato, alla canzone?
«33 anni. Quelli che avevo quando l’ho scritta».