La Giunta per le Autorizzazioni della Camera decidera’ domani mattina se dire ‘si’ o ‘no’ alla richiesta di autorizzazione all’arresto trasmessa dal Gip di Napoli nei confronti del deputato del Pdl, Alfonso Papa. La decisione di far slittare il voto, si spiega nella maggioranza, dipenderebbe sostanzialmente da due motivi: dare alla Lega piu’ tempo per decidere il da farsi(‘li terremo un po’ sulle spine”,ha detto oggi Umberto Bossi); dare piu’ spazio alla discussione generale e alle ragioni di Papa. Quest’ultimo, infatti, oggi ha concluso la sua audizione, ha risposto ad alcune domande e ha presentato nuovi atti dai quali, a suo dire, emergerebbe ancora di piu’ il ”fumus persecutionis” che i magistrati di Napoli avrebbero nei suoi confronti. In realta’, alcuni dei ‘nuovi’ documenti rientrano tra quelli considerati ”irrilevanti” ai fini delle indagini. Uno di questi, ad esempio, riporta semplicemente il dialogo tra Luigi Bisignani e Papa su Anna Maria Bernini, la parlamentare Pdl che ora vorrebbe andare al ministero della Giustizia (”E’ una secca, alta, alta con il viso molto spigoloso…”).
Il rinvio sarebbe stato anche una sorta di compromesso con il Pdl. I berlusconiani oggi avrebbero voluto chiedere piu’ tempo per completare l’istruttoria. Ma, alla fine, si sarebbe deciso di soprassedere spostando solo il voto a domani, giusto alla vigilia della scadenza del tempo massimo concesso per completare l’istruttoria: il 15 luglio. La richiesta d’arresto infatti e’ arrivata alla Camera il 15 giugno e il Regolamento della Camera non da’ alla Giunta piu’ di 30 giorni per chiudere i lavori. La vicenda di Alfonso Papa poi dovra’ essere votata dall’Aula il prossimo 20 luglio.
E sara’ quello il banco di prova per ‘sondare’ gli equilibri anche nella Lega, che sul punto appare sempre piu’ divisa. Ieri sera, si racconta nel Carroccio, c’e’ stata una riunione di gruppo per decidere il da farsi. E il presidente dei deputati Marco Reguzzoni avrebbe invitato i ‘suoi’ a votare contro l’arresto, cosi’ come fa il Pdl. Al suo ‘appello’, pero’, i parlamentari ‘maroniani’ (che dicono di essere 49) avrebbero risposto ‘no’. E questo, sostanzialmente, per due ragioni: prima di tutto perche’ non si vuole piu’ fare la figura di quelli che sostengono qualsiasi ”nefandezza” pur di difendere la Casta. E poi, motivo politicamente piu’ rilevante, si vorrebbe dare un avvertimento a Tremonti. Votando ‘si’ all’arresto di Papa gli si farebbe capire che si potrebbe votare ‘si’ pure all’arresto di Marco Milanese (la decisione sul braccio destro del ministro dell’economia potrebbe giungere pero’ dopo la pausa estiva nonostante il Pd chieda di accelerare).
Con tutte le conseguenze che questo potrebbe comportare per il responsabile di Via XX settembre. Sarebbe, insomma, un modo per far capire a Tremonti, spiegano i leghisti, che forse gli converrebbe fare un passo indietro visto che alla guida di un eventuale nuovo governo, i cosiddetti ‘maroniani’ vedrebbero bene solo Roberto Maroni. Cosi’, i 49 avrebbero avvertito Reguzzoni che loro sarebbero pronti a votare ‘si’ all’arresto per Papa. Ricordandogli che tanto come ‘capogruppo’ avrebbe i giorni contati. A settembre, si ribadisce che al posto di Reguzzoni dovrebbe andare Giacomo Stucchi, piu’ vicino al ministro dell’Interno. Il primo aspirerebbe infatti ad andare al ministero delle Politiche Comunitarie, al posto di Andrea Ronchi.
Ma la cosa non sembra scontata anche perche’ l’ex Fli e’ tornato nel Pdl. Molto, comunque, dipendera’ dal voto segreto in Aula, se verra’ chiesto e da chi. Nel segreto dell’urna la situazione potrebbe cambiare: nell’opposizione c’e’ chi potrebbe dire ‘no’ all’arresto; chi nel Pdl ce l’ha con Papa potrebbe dire ‘si’; la Lega potrebbe ricompattarsi a favore della custodia cautelare. Nella maggioranza acque agitate anche su chi dovra’ andare a sostituire Alfano a Via Arenula. Il nome ora in ‘pole position’ e’ quello di Donato Bruno, attuale presidente della commissione Affari Costituzionali della Camera. Anche se la Bernini non ha perso le speranze. Berlusconi sembra sponsorizzarla nonostante nel Pdl si assicuri che e’ una candidatura ”tramontata”
INFONDATE VOCI DIMISSIONI GEN.ADINOLFI -Il ministro dell’Economia Giulio Tremonti non risulta ”assolutamente” indagato dalla procura di Napoli. La precisazione arriva direttamente dal procuratore capo Giandomenico Lepore ed ha un duplice effetto: smentire una convocazione nei prossimi giorni del titolare dell’Economia, per essere nuovamente ascoltato nell’ambito dell’inchiesta in cui e’ indagato il suo ex consigliere politico Marco Milanese, e stoppare le voci di dimissioni del titolare di via XX settembre che potrebbero indebolire politicamente lo stesso ministro in un momento particolarmente delicato per l’economia italiana. La risposta di Tremonti arriva a stretto giro: ”Prendo atto con molta soddisfazione di quanto comunicato dal capo della Procura della Repubblica di Napoli. La notizia e’ per me molto positiva, tanto sul piano personale quanto sul piano istituzionale”. Il ministro dell’Economia conclude poi sostenendo che, ”come sempre, ho fiducia nella giustizia”. Dai magistrati napoletani il titolare di via XX settembre era stato ascoltato lo scorso 17 giugno e in quell’occasione aveva raccontato ai magistrati le problematiche che stanno attraversando la Guardia di Finanza e il timore che nei suoi confronti fosse utilizzato il ‘metodo Boffo’, per screditarlo politicamente. Sulle ”cordate” all’interno del Corpo, il ministro e’ stato netto. Nella prospettiva di diventare comandanti, ha detto ai pm, i generali ”hanno preso a coltivare relazioni esterne al corpo che non trovo opportune”.
Tanto che di queste ‘frequentazioni’ il ministro ne ha parlato con il comandante Nino di Paolo suggerendo di dare alcune direttive ai sottoposti. ”Possiamo dire che gli dissi – ha messo a verbale Tremonti – meno salotti, meno palazzi, consegne in caserma”. Ma le relazioni potrebbero avere anche un altro scopo: mettere in difficolta’ proprio il ministro. Quando i pm gli fanno sentire la telefonata tra il premier e il capo di Stato Maggiore della Gdf Michele Adinolfi e gli chiedono se Berlusconi avesse utilizzato strumentalmente la Gdf contro di lui, risponde cosi’: ”non ho mai detto a Berlusconi che mi voleva far fuori tramite la Gdf”. Certo pero’ e’ che ”in parallelo, su alcuni settori della stampa, si manifestava una tendenza, una spinta alle mie dimissioni se non avessi modificato le mie posizioni” sulla politica economica. E questo porto’ il ministro a mostrare chiara e tonda al premier la sua ”refrattarieta’ ad essere oggetto di campagne stampa tipo quella ‘Boffo”’, di cui c’erano ”voci in Parlamento”. Dell’episodio parla anche Milanese. ”Tremonti – racconta ai pm – mi ha detto che ha avuto uno sfogo con il presidente del Consiglio Berlusconi perché aveva saputo che lui, il ministro, era seguito. O comunque negli ambienti politici si dice che stanno attuando il ‘metodo Boffo’ anche nei suoi confronti…Lui mi ha ribadito che ha riferito a Berlusconi che stanno cercando ‘cose’ per metterlo in difficolta’ da un punto di vista politico”. Ma chi è che si sta muovendo? “Ho capito – affermava Milanese – che faceva riferimento anche alla Guardia di Finanza ed al generale Adinolfi come partecipanti a questo piano ordito nei suoi confronti”. Voci che si vanno ad aggiungere ad un’altra circolata per tutto il giorno: le dimissioni da capo di Stato Maggiore della Gdf, proprio di Adinolfi, indagato nell’inchiesta P4 per rivelazioni di segreto d’ufficio e favoreggiamento.
”Sono voci infondate” dicono al Comando generale confermando pero’ che, a breve, il capo di Stato Maggiore assumera’ un nuovo incarico. Un cambiamento, precisano, che non va legato all’inchiesta in corso poiche Adinolfi e’ stato ”promosso l’anno scorso generale di Corpo d’Armata con decorrenza 1 luglio”. Dunque, ”quando assumera’ il grado sara’ assegnato ad un nuovo incarico coerente con il grado di generale di Corpo d’Armata”. Quale? Nessuna decisione, si apprende, e’ ancora stata presa, ma i ruoli possibili sono uno tra Comando interregionale, Reparti speciali, Comando aeronavale, Ispettore per gli istituti di istruzione, comandante in seconda. Le precisazioni che arrivano da viale XXI Aprile non placano pero’ la bufera che si e’ abbattuta sul Corpo. Lo conferma la sottolineatura dell’avvocato del generale Vito Bardi (anche lui indagato nell’inchiesta P4 con le stesse accuse) dopo la pubblicazione dei verbali di altri due generali, Emilio Spaziante e Paolo Poletti (il primo comandante dell’Italia centrale della Gdf, il secondo vice dell’Aisi ed ex della Finanza) in merito al comportamento del loro collega. Secondo i due, Bardi non doveva riferire al comando generale le notizie relative all’inchiesta napoletana e, tantomeno, svelare che erano sotto intercettazione politici e personaggi istituzionali. Secondo l’avvocato, invece, Bardi si e’ comportato con ”trasparenza e rigore istituzionale”, informando ”per via gerarchica e in ottemperanza a quanto avviene periodicamente per inchieste sensibili” il Comando sulle indagini in corso. Una ”consolidata prassi” da cui ”nessun vertice nazionale, interregionale o regionale, ha mai dissentito, non solo della Guardia di Finanza”.