Eluana Englaro aveva il diritto di morire in Lombardia e la Regione guidata all’epoca da Roberto Formigoni aveva l’obbligo di garantire la sospensione delle terapie alla donna. E’ quanto ha stabilito il Consiglio di Stato nella sentenza n. 04460 che ha respinto l’appello della Regione contro la sentenza del Tar lombardo n. 314 del 2009. Il Tar lombardo aveva accolto il ricorso del padre di Eluana, Beppino Englaro, contro il provvedimento della Dg Sanità della Regione Lombardia del 3 settembre con il quale la stessa Regione respingeva la richiesta di mettere a disposizione una struttura per il distacco del sondino naso-gastrico che alimentava e idratava artificialmente la ragazza, rimasta in stato vegetativo per quasi 18 anni.
“È una sentenza molto importante sul piano del diritto”, spiega l’avvocato Vittorio Angiolini, il costituzionalista che ha seguito la famiglia Englaro nella lunga battaglia giudiziaria per vedersi riconosciuto il no alle terapie che tenevano in vita Eluana contro la sua volontà.
“I magistrati stabiliscono che la Regione era tenuta a fornire le cure alla paziente Englaro e che il diritto di avere una cura comprende, in se stesso, il diritto di interromperla. Questo significa che Eluana avrebbe dovuto trovare questo tipo di assistenza, che poi trovò a Udine, anche in Lombardia, come anche il Tar aveva stabilito”.
La sentenza non mancherà di avere ripercussioni anche sulla questione del testamento biologico, visto che, nel testo, si è affrontato quel “diritto alla morte” richiamato dalla Regione Lombardia che, secondo l’appellante, non trova spazio nel nostro ordinamento.
“La Regione trascura in questo modo però che a base del proprio rifiuto di ricoverare l’assistito essa ha inteso porre e imporre d’imperio una visione assolutizzante, autoritativa della ‘cura’ e, in ultima analisi, al suo fondamentale e incomprimibile diritto di autodeterminazione terapeutica, quale massima espressione della sua personalità. Certo – prosegue la sentenza – non compete alla Regione far valere, rivestendo anticipatamente un ruolo difensivo, presunti profili di responsabilità del personale medico, con l’affermazione, implicita ma chiara, che eseguire la volontà del tutore significherebbe compiere un delitto, poiché tale affermazione, oltre che impropria, è errata, essendo tale comportamento scriminato, proprio come dimostra la vicenda in questione”.