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scomparsa

pino-daniele-fabiola-638x425Il 5 gennaio del 2015 si è spenta una delle voci e delle personalità più intense del panorama musicale del nostro paese, Pino Daniele, lasciando un vuoto incolmabile nel cuore dei suoi fan partenopei e non solo. Pino aveva infatti saputo scavalcare le barriere sociali e linguistiche della sua città, proponendosi come un cantautore amato e riconosciuto in tutta la penisola.

Molti sono stati gli eventi che l’hanno voluto omaggiare e ricordare a Napoli, città che gli ha dedicato una via e che con il concerto della fine dell’anno ha voluto celebrare la sua musica soul, il suo animo blues e le tante collaborazioni strette nel corso degli anni. Gli eventi si sono proposti quanto mai eterogenei e hanno abbracciato ogni angolo della città. Dal concerto tributo nella chiesa di Santa Maria dell’Aiuto, quartiere dove il cantante è nato fino ai tanti flash mob che sono nati spontaneamente nella città e che si sono svolti davanti al Gambrinus in piazza Trieste e Trento e nella via a lui intitolata; le occasioni per ricordare Pino Daniele sono state molte e tutte vere, ricche di originalità e sentite dalla cittadinanza.

Il lutto accadeva un anno fa e, oggi come in quei giorni di dolore, la città e i suoi abitanti si sono proposti di ricordare un cantante che con le sue parole, le sue musiche e le sue eccezionali interpretazioni ha saputo svelare il cuore più blues della città, facendola conoscere al mondo intero anche sotto il suono della regionalità del suo dialetto. Tanti sono stati gli amici, i collaboratori e i musicisti che hanno voluto rendere omaggio all’anniversario della sua scomparsa, perché Pino Daniele è stato un cantante che non potrà mai essere dimenticato, da chi lo ha amato come uomo e come musicista dall’immenso pregio artistico.

Giorgio-Faletti-e-Roberta-Bellesini_980x571A quasi un mese dalla morte di Giorgio Faletti, sua moglie Roberta sceglie Vanity Fair e un amico scrittore, Luca Bianchini, per ricordare i loro 14 anni insieme, in una bella intervista.

Al primo invito a cena: “Ero un po’ agitata perché pensavo di non aver argomenti di conversazione per via della differenza di età. Invece fu tutto facile, poi io sono sempre sembrata più adulta e lui più bambino, per cui la distanza era minore. Però ci vollero altre cene prima che ci baciassimo, finalmente, a casa sua. E dopo un po’ mi chiese di andare a vivere da lui a Milano”.

Poi, un giorno del 2002, l’hai ritrovato disteso in camera per via dell’ictus.

“Sì, era il giorno in cui avrebbe dovuto fare la sua prima presentazione di Io uccido alla Mondadori di via Marghera. Per fortuna ebbi la lucidità di descrivere bene i sintomi al pronto soccorso, per cui lo portarono al Niguarda. Poco dopo, però, dovetti prendere la decisione più difficile della mia vita”.
Cioè?
“C’era un farmaco che poteva sbloccare la situazione, ma in Italia era ancora in via sperimentale. E, non sapendo bene da quanto tempo Giorgio era in coma, avrebbe potuto essere letale. Più il tempo passava, più aumentava il rischio. Il medico mi lasciò dieci minuti per decidere, e io rischiai. Ho sempre pensato che per avere risultati si debbano correre rischi”.
Come reagì Giorgio quando lo seppe?
“Mi chiese di sposarlo. Parallelamente, la sua guarigione venne accelerata dai risultati clamorosi delle vendite di Io uccido”.
Il mondo letterario però non l’ha mai apprezzato veramente.
“Infatti ne soffriva. Lui faceva comodo agli editori e ai festival, perché portava pubblico e faceva vendere tante copie. Però gli intellettuali non lo hanno mai veramente accettato”.
Quando ha scoperto di avere un tumore?
“A gennaio, per caso. Doveva fare una risonanza magnetica perché aveva un’ernia da controllare, e da un po’ aveva un fastidioso mal di schiena”.

Qual è stata la tua reazione?
“Ho detto solo: Cazzo. Poi ci siamo presi qualche giorno per decidere che cosa fare, io e lui. Ci hanno consigliato un medico di Los Angeles che lavorava con le eccellenze di tutto il mondo (…) Ma la nostra decisione di curarci in America era dettata soprattutto dalla necessità di avere un po’ di privacy”.
Quando è precipitata la situazione?

“Nell’ultimo mese. Ha iniziato a non sentirsi più bene…faticava a camminare…a parlare… hanno fatto diversi esami prima di capire che aveva metastasi al cervello. Era il 20 giugno”.
È lì che ha deciso di tornare?

“Lui aveva già deciso di tornare per fare la radioterapia in Italia, ma sono sicura che in cuor suo avesse capito che non c’era più nulla da fare. Desiderava tantissimo tornare in Italia, lo desiderava con tutto se stesso.
Tant’è che ha tenuto duro fino a che siamo arrivati qui. Poi ha mollato. Vorrei però che tutti sapessero che non ha mai avuto un momento di rabbia o di sconforto.
Mi diceva: “Comunque vadano le cose, io ho avuto una vita che altri avrebbero bisogno di tre per provare le stesse emozioni. E se penso che sarei dovuto morire nel 2002 e in questi 12 anni ho fatto le cose a cui tenevo di più, devo ritenermi l’uomo più fortunato del mondo”.