La decisione di Giovanni Scattone di accettare la cattedra di psicologia all’Istituto Einaudi di Roma aveva giustamente mosso un polverone nei giorni passati e la vicenda sembra essersi conclusa con la rinuncia della cattedra, annunciata pochi giorni fa al ministero dell’Istruzione.
Come si può dare torto a quest’uomo, che sebbene abbia pagato il suo debito con la giustizia non potrà mai guadagnarsi appieno la fiducia dei docenti, dei genitori degli alunni e degli alunni stessi? Si tratta di un tema di cronaca davvero molto spinoso, in quanto Scattone nel 2003 era stato condannato a cinque anni e alcuni mesi di reclusione per l’omicidio colposo della studentessa universitaria Marta Russo e, una volta scontata la pena, era tornato nel mondo del lavoro cercando un’occupazione nel mondo scolastico.
L’occasione era arrivata con la riforma della buona scuola del governo Renzi, in quanto secondo il punto di vista contrattuale Scattone aveva e ha ancora le carte in regola per occupare un posto da docente di psicologia negli istituti italiani. Non stiamo parlando di supplenze, ma di una cattedra a tempo indeterminato, così come vuole la riforma. Scattone aveva quindi accettato di buon grado questa occasione lavorativa, ma ora, dopo che l’opinione pubblica si è scagliata contro di lui, ha preferito rinunciare, dichiarando di non sentirsi più sereno e quindi di non potere accettare la cattedra a Roma che gli spetterebbe di diritto.
A conti fatti si tratta di una decisione saggia, non solo perché molti sono i mestieri che una persona può fare nella vita, ma soprattutto perché Scattone andrebbe ad insegnare psicologia, una materia molto delicata e che tanto ha a che vedere con il suo trascorso di possibile omicida e di detenuto. La madre di Marta Russo si è detta confortata da questa scelta e lo stesso hanno probabilmente pensato i docenti e i genitori dei ragazzi dell’istituto dove Scattone doveva assumere l’incarico di docente a tempo indeterminato.