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renziMaratona notturna a Bruxelles, dove i capi di Stato dei governi europei stanno lavorando incessantemente da ore per evitare che si verifichi la cosiddetta Berexit, ovvero l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea e per far fronte alla crisi migratoria con decisioni comuni. Il presidente del consiglio Donald Tusk ha quindi presieduto una tavola rotonda che si è occupata di raccogliere tutte le preoccupazioni su questi due temi chiave, dopo aver avuto i due incontri bilateri più importanti, il primo con il premier David Cameron (uno alle tre di pomeriggio e uno alle tre di notte) e uno con il presidente francese Hollande.

La cena di lavoro degli alti vertici è stata completamente dedicata alla crisi migratoria, un tema che ha visto scontrarsi apertamente le posizioni dell’Austria contro quelle della maggioranza dell’Unione Europea. Durissima è stata in questo caso la presa di posizione del premier italiano Renzi, che nel corso della cena ha ammonito i presidenti, affermando che la solidarietà non può essere solo nel ‘prendere’, ma in una seria programmazione dei fondi fino al 2020.

Da qui la necessità di essere solidali in modo bilaterale, ovvero di smettere di prendere per non dare, perché la priorità è di accettare i migranti, o anche l’Italia potrà smettere di essere solidale nei confronti dei paesi contributori. In altre parole, il presidente del consiglio italiano ha invitato gli Stati ad accettare i migranti, altrimenti i paesi contributori potrebbero a loro volta decidere di tagliare i fondi. Le parole sono state lodate dai paesi fondatori Francia e Germania, mentre altri Stati come l’Ungheria hanno definito il discorso di Renzi un vero e proprio ricatto politico.

La cena si è quindi conclusa con la richiesta di un nuovo vertice a marzo e con la scelta di riconoscere che il problema dei migranti può essere risolto solo se l’Unione trova un accordo comune, non certo con azioni unilaterali dei singoli Stati.

migranti ungheriaE’ entrata in vigore la nuova legge ungherese sull’immigrazione e il governo di Budapest non esclude la costruzione di un muro anche nella frontiera rumena. In questi caldi giorni di fine estate l’Ungheria ha infatti dichiarato lo stato di emergenza in due contee che si trovano al sud del paese e che sono considerate come le zone di transito maggiore dei profughi che stanno raggiungendo il paese.

La legge varata in tempi brevissimi prevede che venga considerato reato anche il solo danneggiare la barriera di filo spinato alta quattro metri che è stata issata per ben 175 chilometri al confine con la Serbia e dona poteri speciali alla polizia, aprendo le porte all’impiego dei militari dell’esercito nelle frontiere.

Continua quindi la linea dura del governo di Budapest, che non si ferma di fronte alla richiesta europea e approva una legge che prevede ben tre anni di reclusione per chi cerca di entrare illegalmente nel paese.

Si tratta di una manovra speciale, che ha allertato ben 30 giudici, chiamati a giudicare e a processare per direttissima tutte le persone che non rispettano questa legge. Tradotta in pratica, la legge ha permesso di arrestare dalla mezzanotte della sua entrata in vigore ben 174 migranti in arrivo dalla Serbia, dei quali 45 sono stati subito incarcerati in quanto accusati di avere apportato dei danni alla barriera di confine.

La manovra rischia quindi di avere ripercussioni su uno Stato fragile come la Serbia, finora considerata una terra di passaggio, ma che ora potrebbe bloccare tutti i migranti che hanno scelto questa strada, i quali sono impossibilitati a varcare il confine, sia a causa del muro sia per ragioni legate all’approvazione della legge straordinaria.

L’Ungheria pensa quindi alla costruzione di un muro che potrebbe interessare il confine rumeno, una manovra che bloccherebbe definitivamente l’arrivo dei migranti che hanno scelto di proseguire il loro cammino da questa parte dell’Europa.

ansa - andrea acquarone - IMMIGRAZIONE:ALTRI SBARCHI A LAMPEDUSA MENTRE ARRIVA PREMIERIl problema del profugato sta attanagliando in questi giorni il nostro paese e sempre più sono gli episodi singoli che interessano non solo le grandi città, ma anche i paesi di provincia dove i profughi vengono accolti nelle strutture religiose e comunali. Un episodio molto particolare è avvenuto ieri nel vicentino, in particolare a Valle di Castelgomberto, una frazione molto piccola che si trova nella Valle dell’Agno.

La settimana scorsa il parroco del paese, Don Lucio Mozzo, aveva infatti convocato un’assemblea di parrocchiani per richiedere la disponibilità di impiegare la canonica dismessa che fronteggia la chiesa per ospitare sei o sette profughi, in attesa di una loro sistemazione definitiva. Un coro di voci urlanti si è alzato dalla folla, con persone che non volevano questa manovra in quanto trattasi di persone musulmane, che non hanno il diritto di vivere e di essere ospitate in locali cristiani. Alcune persone hanno affermato che la canonica era stata costruita dai loro avi per i fedeli, non certo per i musulmani e quindi il parroco, messo davanti a questa realtà, si è sentito debole e indifeso.

E’ di ieri al notizia dell’arrivo di un messaggio, che spiega la vicinanza del Papa alla sua battaglia e lo incita ad andare avanti in nome dell’accoglienza. Don Lucio Mozzo non se l’aspettava, e pensava che i suoi parrocchiani avrebbero accettato di buon grado la scelta di impiegare un locale abbandonato e non attualmente in uso per ospitare delle persone bisognose.

La vicenda si inserisce in un contesto molto più ampio e particolare, perché queste terre sono state fra le prime in Italia ad accogliere le persone extracomunitarie, in quanto molte di loro hanno trovato impiego nelle locali concerie. Le persone intervistate hanno quindi affermato che l’accoglienza e l’ospitalità non è mai mancata in questa regione, in quanto si tratta di persone che sono arrivate con umiltà e che ora sono integrate con la comunità, prova ne è che al parco giocano bambini anche di dodici etnie diverse, tutti assieme a controllati dal genitore di turno. L’arrivo dei migranti viene invece letto come un’imposizione da parte dello Stato, che non viene accettata soprattutto se i locali destinati sono di tipologia religiosa.