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papa1Colloquio tra Eugenio Scalfari e il Pontefice.

Eugenio Scalfari dialoga con papa Francesco nel suo editoriale domenicale. La pedofilia è una vera e propria “lebbra” da debellare perché “la corruzione del fanciullo è quanto di più terribile e immondo si possa immaginare” ma “come Gesù userò il bastone contro i preti pedofili, tra cui ci sono anche vescovi e cardinali”, ha detto il pontefice.

Nel lungo articolo si parla del pontificato di Francesco iniziato da poco più di un anno e che “in così breve tempo ha già iniziato a rivoluzionare la Chiesa”.
Pedofilia e mafia sono i due temi sui quali Francesco è intervenuto molte volte e che hanno sollevato un’ondata di sentimenti e anche di polemiche fuori e dentro la chiesa.

“La famiglia dovrebbe essere il sacrario dove il bambino (e poi il ragazzo e l’adolescente) viene amorevolmente educato al bene, incoraggiato nella crescita stimolato a costruire la propria personalità e a incontrarsi con quella degli altri suoi coetanei”, spiega il Papa, sottolineando però che “l’educazione sembra quasi aver disertato le famiglie: ciascuno è preso dalle proprie personali incombenze, spesso per assicurare alla famiglia un tenore di vita sopportabile, talvolta per perseguire un proprio personale successo, altre volte per amicizie e amori alternativi”.

“L’educazione come compito principale verso i figli sembra fuggito via dalle case. Questo fenomeno  è una gravissima omissione ma non siamo ancora nel male assoluto. Non soltanto la mancata educazione ma la corruzione, il vizio, le pratiche turpi imposte al bambino e poi praticate e aggiornate sempre più gravemente man mano che egli cresce e diventa ragazzo e poi adolescente: questa situazione è frequente nelle famiglie”, sottolinea il Papa.

E la Chiesa cosa fa in tutto questo?, domanda Scalfari. “La Chiesa lotta perché il vizio venga debellato e l’educazione recuperata. Ma anche noi abbiamo questa lebbra in casa”, spiega Papa Francesco.

Sulle mafie Bergoglio spiega di non conoscere a fondo il problema delle mafie: sa quello che fanno – la mafia è uno Stato nello Stato con “un proprio Dio, un Dio mafioso” – ma non comprende il modo di pensare dei mafiosi, i capi, i gregari. E ancora: “E’ un fatto che la maggior parte delle donne legate alla mafia da vincoli di parentela, le mogli, le figlie, le sorelle, frequentano assiduamente le chiese dei loro paesi dove il sindaco e altre autorità locali sono spesso mafiose. Quelle donne pensano che Dio perdoni le orribili malefatte dei loro congiunti?”

“La nostra denuncia della mafia non sarà fatta una volta tanto ma sarà costante. Pedofilia, mafia: la Chiesa, il popolo di Dio, i sacerdoti, le Comunità, avranno tra gli altri compiti queste due principalissime questioni”. “Certi sacerdoti sono ancora troppo tiepidi nel denunciare il fenomeno mafioso”.

Sul celibato dei preti “Forse lei non sa che il celibato fu stabilito nel X secolo, cioè 900 anni dopo la morte di nostro Signore. La Chiesa cattolica orientale ha facoltà fin d’ora che i suoi presbiteri si sposino. Il problema certamente esiste ma non è di grande entità. Ci vuole tempo ma le soluzioni ci sono e le troverò”.

bd8aa360452159ef4fa6fa01d9c6c215-1622-k8PF-U10301883187908bYG-568x320@LaStampa.itPapa Francesco è andato in Calabria appena due settimane fa e da li ha lanciato un duro monito contro i mafiosi da scomunicare pubblicamente.

Pochi giorni fa un vescovo calabrese  ha chiesto di abolire la figura del padrino per il battesimo e per la cresima. Un provvedimento secondo il religioso utile per combattere la ‘ndrangheta.

Ma ancora oggi ci son preti che si inchinano e fanno inchinare la madonna davanti ai boss, è successo a Oppido Mamertina, in provincia di Reggio Calabria: una città nota per una delle più cruente guerre di mafia calabrese. La notizia è stata diffusa dal Quotidiano della Calabria.

Come da tradizione era in corso la processione della Madonna delle Grazie: a un certo punto il corteo si è fermato per alcuni secondi quando la statua preceduta da sacerdoti e mezzo consiglio comunale è arrivata all’incrocio tra Corso Aspromonte e via Ugo Foscolo, dove vive il boss del paese, l’82enne Giuseppe Mazzagatti. La processione si è dunque fermata e vi è stato l’inchino dinanzi casa di Mazzagatti, già condannato all’ergastolo per omicidio e associazione a delinquere di stampo mafioso. Un boss ancora potente che da tempo è agli arresti domiciliari per motivi di salute.

Un omaggio che non è piaciuto al maresciallo dei carabinieri Andrea Marino che aveva già avvisato gli organizzatori di non fare gesti particolari o inchini durante il tragitto.

“C’è un’informativa che è già alla nostra attenzione e che sarà consegnata alla procura circondariale di Palmi e alla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria. Il comandante di stazione ha fatto il suo dovere e ha compiuto un atto di servizio, ma nessuno ha abbandonato il corteo. Non spetta a noi condannare, il nostro compito è quello di informare l’autorità giudiziaria”. Bisogna poi considerare che nessuno, infatti, tra le autorità civili e religiose presenti avrebbe lasciato il corteo dopo il gesto”.

Alessandro D’Ambrogio – Arriva un nuovo colpo basso per la mafia di Palermo. Nell’operazione da parte dei Carabinieri di Palermo, che hanno disarcionato un intero clan, faceva parte anche Alessandro D’Ambrogio, 39 anni siciliano. Ufficialmente D’Ambrogio era il proprietario di una impresa di pompe funebri, ma in realtà i suoi compiti in Sicilia erano ben diversi. Dopo essere uscito dalla galera nel marzo del 2011, divenne capo della famiglia mafiosa di Palermo Centro.

Alessandro D’Ambrogio – capo mandamento Porta Nuova

Dopo poco tempo, fece il salto di qualità, diventando la guida di uno dei mandamenti più ricchi di tutta Palermo, ovvero Porta Nuova. Per lui una carriera di “tutto rispetto” come criminale e una condanna definitiva per associazione mafiosa. Tra i 24 fermati c’è anche lui, dopo il blitz dei carabinieri che ha messo dietro le sbarre moltissimi personaggi ricollegabili alle famiglie mafiose palermitane, molti dei quali già conosciuti alle forze dell’ordine.

  Mafia: parte processo Borsellino quater. Si è aperto quest’oggi il processo quater per la strage di via D’Amelio in cui morirono il giudice Paolo Borsellino e gli agenti di scorta. Si è tenuta nell’aula della Corte d’Assise di Caltanissetta la prima udienza, gli imputati sono i boss Vittorio Tutino e Salvo Madonia e i tre falsi pentiti autori del depistaggio costato l’ergastolo a 7 innocenti, Calogero Pulci, Francesco Andriotta e Vincenzo Scarantino.

L’avvocato Fabio Repici, il legale di Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, ha chiesto la citazione come testimone del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che all’epoca dei fatti era Presidente della Camera, motivo per il quale è stata avanzata la richiesta. Spetta ora alla Corte d’Assise decidere se ammetterlo o meno.