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Il conflitto Libia sta mettendo ai ferri corti anche l’Italia che si dichiara pronta ad intervenire, nel contempo accendendo la minaccia dell’Isis. L’Isis sembrerebbe intenzionata a passare per i confini tunisini. C’è allerta, dovuta alle recenti segnalazioni sull’attività terroristica in atto.

La situazione, da come ormai sembra ovvio in Libia, è grave: l’Isis sembra voglia prendere possesso del luogo per poi espandersi al resto dell’Europa attraverso l’uso marittimo di varie barche, data la corta distanza. Ma i loro piani sono sempre da definire. Nel frattempo, si sta decidendo la sorte dell’Italia e degli italiani: siamo i più vicini e quindi quelli più esposti ad eventuali attacchi futuri. E non solo: ci sono attualmente degli Italiani in Libia, ed i rischi sono numerosi compresi anche quelli d’arruolamento forzato.
Ma stavolta si parla di Italiani che hanno deciso di lasciare la Libia piuttosto che mettersi nelle mani dell’Isis; dall’altro lato della medaglia alcuni hanno deciso di schierarsi con i fondamentalisti, volando via dal nostro stato oppure svolgendo le loro pratiche stesso nella nostra nazione.

Così come detto dalla Farnesina: non ci sarà un massiccio rimpatrio, ma una delle operazioni capillari preannunciate di alleggerimento dei connazionali presenti nel Paese. Ed in effetto l’invito risale perfino al primo febbraio visti i numerosi rischi che sono andati man mano a presentarsi e che ora sono arrivati al culmine. La stessa ha anche aggiunto che ogni connazionale non deve recarsi in Libia e che se sono in quel paese, è urgente lasciare la nazione anche su fronte temporaneo.

350 chilometri. E’ questa la distanza che ci divide, ed è veramente poca. Pinotti afferma che “L’Italia è pronta a guidare una coalizione contro il Califfato”. Da discutere con l’Onu l’impiego di uomini e mezzi da appostare alle coste italiane e da mandare in Libia per combattere l’Isis, con obiettivi ovvi: almeno impedire loro di formarsi a “macchia” attraverso il nostro paese, così facile da invadere viste le grandiose quantità di immigrati clandestini che abbiamo accolto senza ulteriori controlli.

Ma ora sembra più che ovvia la presenza all’orizzonte d’un inasprimento delle formalità e della sicurezza, come già avvenuto in passato, seppure in modo certamente più pronunciato.

Passano i giorni e la preoccupazione si fa sempre più forte. In Libia ed in Siria la situazione non è delle migliori, con l’Isis che sta rendendo sempre più pressante la loro presenza e minaccia verso di noi. Misure drastiche però non sono ancora state prese dato che stiamo volgendo ad una soluzione più politica e democratica.

Ma fin quanto la democrazia può spingersi in avanti? Nel mentre che stiamo aspettando qualche soluzione da parte della NATO, le forze speciali inglesi stanno già combattendo in entrambi i luoghi e con patti chiari: in caso di cattura, spararsi sul posto.

E per disperazione, intere barche vengono caricate e scaricate più volte durante la settimana con un aumento di più del 65% degli arrivi rispetto alle volte scorse: almeno 200.000 persone sono state messe in sbarco verso l’Europa. Tra di questi anche Egiziani che vedendo la fine che hanno fatto i loro compari hanno il terrore di fare la stessa fine, e si dirigono in luoghi da loro reputati più sicuri.

E’ proprio questo l’effetto che fanno tali messaggi: creare paura. La situazione ha raggiunto perciò la massima allerta e di recente Alfano ha concordato quanto si può fare con il capo della polizia Pansa e tutti i responsabili dell’immigrazione per un maggior numero di controlli e per evitare così che armi e miliziani s’infiltrino nel nostro territorio.

E’ dunque il momento di guardare ai problemi più gravi, tant’è che la così chiamata manovra “Mare Nostrum” è stata eliminata in favore di una maggiore attenzione al problema Libia e al potenziale pericolo per l’Italia. Il messaggio risulta chiaro: compiere un atto eclatante, dimostrativo, nei nostri confronti: ma siamo veramente pronti ad affrontare quest’atto? Al momento gli sbarchi sono così tanti che è probabile che in alternativa si procederà al sequestro di vari stabili per accomodare gli immigrati. Perché è anche un bene garantire che il rischio di trafficanti d’uomini non avvicinino questa gente che, disperata, è pronta a tutto.

CAOS-LIBIA-EBOLA-672x350Intervista rilasciata a La Stampa da Carlo Biffani a proposito della grave situazione in Libia che potrebbe avere conseguenze catastrofiche per l’Italia. Biffani è un ex ufficiale della Brigata Paracadutisti, esperto di operazioni di forze speciali, security e intelligence privata, attualmente direttore generale di Security Consulting Group, azienda leader della sicurezza privata, nonché esperto di questioni libiche. L’Italia non si è mai trovata così vicina al “centro della criticità”, ha dichiarato l’esperto, che poi ha lanciato l’allarme sui rischi derivanti dall’immigrazione fuori controllo come Ebola e terrorismo islamico

Libia di nuovo nel caso, un Paese dannato?

«La situazione in Libia è davvero drammatica, e mai sino ad ora, il nostro Paese si era trovato così vicino al “centro della criticità”. Il rischio che corriamo è altissimo sotto diversi profili. Quello dell’approvvigionamento energetico. Quello relativo alla possibilità che elementi del Jihad si infiltrino nel nostro Paese per portare lo scontro con l’occidente ad un livello ancora più alto e per dimostrare al radicalismo islamico mondiale che sono in grado di colpire e “ingaggiare il nemico” direttamente nel cuore della cristianità. Quello che soggetti contaminati da virus di Ebola entrino nel nostro Paese contagiando con una malattia che è impossibile da sconfiggere con i farmaci e della quale si sono ammalati già più di mille soggetti».

Cosa alimenta il caos libico?

«Per quanto riguarda la questione interna, la Libia, altro marchiano errore commesso dalla cosiddetta Coalizione quando la medesima decise di destituire con la forza il Colonnello, non è in grado di uscire da sola da questa tragedia ed anzi, ogni giorno che passa è sempre più vicina al baratro che la farebbe precipitare verso scenari irrecuperabili. Ci rendiamo conto del fatto che per la prima volta, due settimane fa, carri armati e pezzi di artiglieria si sono spostati da Misurata a Tripoli per andare a combattere la battaglia dell’aeroporto della capitale? Questo non è più il susseguirsi di scaramucce combattute a suon di Tecnica e di calibro .30. Qui stiamo assistendo, inermi per altro, ad una guerra fra eserciti. Da un lato il movimento radicale islamico con le sue controllate regionali e nazionali, unito in un abbraccio grottesco ma letale con esponenti del mondo del business libico che si sono visti tagliati fuori dai giri che contano dopo la caduta del governo Gheddafi e dall’altra quel che resta di un esercito schierato sul fronte opposto ai fratelli mussulmani ed ai gruppi islamisti. Tutti sembrano agire motivati dall’unico convincimento del “tanto peggio, tanto meglio” e non si capisce come si possa evitare che il conflitto si estenda a tutto il paese, rendendo impossibile l’esportazione di quel petrolio che per noi è di importanza strategica».

Quali sono i rischi più imminenti?

«Il rischio della possibile infiltrazione di veterani, ci riguarda poi direttamente. Chi ci può garantire che non siano giunti qui da noi, fra i centomila disperati che sono arrivati solo dall’inizio dell’anno, reduci delle battaglie siriane ed egiziane, pronti a fare proselitismo ed a riversare su nuovi combattenti le competenze acquisite in questi anni di guerra? Personalmente, sono piuttosto dubbioso del fatto che si riesca a capire chi davvero stia arrivando, visto che troppo spesso non si riesce neppure a tenerli in un centro di accoglienza per il tempo necessario ad identificarli. Di questa nostra incapacità di controllo e della latitanza vergognosa da parte dei nostri partner europei sul tema del contenimento alla immigrazione clandestina, temo che presto, potremmo essere chiamati a pagare conseguenze drammatiche».

Una nuova azione internazionale, magari più defilata, sarebbe utile?

«Si sente parlare sempre più frequentemente e da più parti riguardo alla necessità di una azione militare a sostegno del governo libico, da promuoversi unilateralmente da parte dell’Italia. Chi ne parla, probabilmente non si rende conto del fatto che non vi è la volontà politica di andare a fare la guerra, perché di questo si tratterebbe, ai gruppi radicali islamici, che non vi sono soldi a sufficienza per mettere in piedi una compagine militare capace di spostare gli equilibri e di dare un contributo sostanziale e non considera che un’azione militare di questo tipo, comporterebbe la possibilità di mettere in conto perdite ingenti fra le nostre fila.»

L’Italia è anche il Paese più esposto in termini di migranti…

«Per muovere in questa direzione ed attrezzarci a difendere i nostri interessi regionali, ci sarebbe bisogno, come alcuni esperti sottolineano da giorni, di riconvertire a scopi bellici la missione Mare Nostrum, di schierare unità da combattimento sul terreno, di lanciare sul campo le nostre aliquote di forze Speciali e di far lavorare in attacco la nostra aviazione militare. Le forze da schierare ci sarebbero, visto che la Brigata Paracadutisti Folgore è stata recentemente esclusa dalla rotazione di turno di impiego in Afghanistan, proprio per renderla disponibile rispetto ad esigenze nello scacchiere mediterraneo, ma l’impiego di soldati in guerra comporta rischi come la morte, che preoccupano i decisori politici molto spaventati dalla impopolarità che ne consegue. Mai come ora, questi passaggi sarebbero giustificati dall’Interesse Superiore, ovvero dalla necessità di riportare ad un livello di gestibilità una crisi che ci minaccia direttamente, ma allo stesso modo, mai come ora siamo apparsi impacciati in termini di difesa dei nostri interessi in ambito internazionale. Mai come ora ci si è preoccupati di aspetti di politica internazionale che poco o pochissimo hanno a che vedere con gli interessi del paese e con il riscontro diretto che i loro effetti avranno sulle famiglie italiane già a partire dal prossimo inverno».

Parlava di rischio Ebola attraverso i canali libici…

«Riguardo ad Ebola, vorrei solo capire come si pensa di fare in modo di controllare la possibile diffusione del virus sul nostro territorio, quando vi sono migliaia di profughi che sbarcano settimanalmente sulle nostre coste e vorrei anche capire come si pensa di valutare ed arginare il possibile ingresso di soggetti contagiati, a fronte della necessità di confrontarsi con un agente patogeno letale che ha tempi di incubazione asintomatica fino a 21 giorni. I clandestini che arrivano sul nostro territorio, dopo 21 giorni, sono nella maggioranza dei casi, già fuggiti dai centri di accoglienza ed in giro per il nostro paese. Se non si riesce a controllare il diffondersi della scabbia ed il ripresentarsi di una malattia come la tubercolosi, cosa possiamo e dobbiamo aspettarci riguardo ad una malattia come Ebola? Capisce l’Europa che il rischio è tanto italiano quanto tedesco o norvegese?»

13270911_guerra-in-libia-in-tempo-reale-tradotto-da-al-jazeera-5E’ guerra a Tripoli. Quasi 100 morti e 400 feriti è il nuovo bilancio di due settimane di scontri nella sola capitale, dove le diverse milizie si contendono il controllo dell’aeroporto internazionale, in una prova di forza che non è solo territoriale e che si dimostra sempre più violenta.

Anche a Bengasi, in Cirenaica, si contano solo oggi almeno 38 morti in scontri tra forze speciali libiche e gruppi armati islamici. L’allarme è sempre più alto, tanto che dopo gli Stati Uniti, che ieri hanno evacuato tutto il personale dell’ambasciata, oggi anche Gran Bretagna, Germania, Olanda , Francia, Belgio, Turchia, Spagna e Malta,Regno Unito hanno invitato i propri concittadini a lasciare la Libia.

L’ambasciata italiana resta “aperta e operativa”, ma il governo ha disposto “da giorni un piano di tutela dei connazionali nelle zone più a rischio”: oltre 100 italiani che ne hanno fatto richiesta sono stati trasferiti fuori dal Paese, ha riferito la Farnesina.

Il sito della Farnesina “Viaggiare sicuri” sconsiglia “tassativamente” di recarsi a Bengasi o in Cirenaica e invita “i connazionali ad evitare temporaneamente viaggi anche nella capitale”. L’ambasciata a Tripoli resta comunque “aperta, operativa e sempre contattabile”.

“La nostra ambasciata – conferma la nota del ministero – continua ad assicurare il massimo impegno a tutela della collettività e degli interessi italiani in Libia”. Dal canto suo, l’Eni ha infatti reso noto che “le attività proseguono regolarmente”, pur monitorando “con attenzione l’evolversi della situazione”.

US reopens embassy in TripoliTre anni e mezzo dopo aver contribuito all’eliminazione di Muhammar Gheddafi, l’avventura libica dell’Amministrazione Obama si conclude con una fuga.

È la sindrome Bengasi, l’incubo di veder morire cittadini americani in Libia, come quell’11 settembre 2012 quando l’ambasciatore Usa Chris Stevens e altri tre connazionali furono uccisi in un attacco alla missione diplomatica in Cirenaica.

Un vero blitz militare, quello con cui ieri gli americani hanno evacuato l’ambasciata a Tripoli. Una colonna di mezzi con circa 150 funzionari a bordo ha raggiunto via terra la Tunisia, scortata dai caccia e dai marines di stanza a Sigonella. Il segretario di Stato Kerry ha detto che è un provvedimento temporaneo, dovuto all’intensificarsi degli scontri tra milizie vicino all’edificio dell’ambasciata.

Nuovo avviso del dipartimento di Stato, che chiede agli statunitensi di non andare in Libia e raccomanda a quanti già vi si trovino di lasciarla subito. Secondo il segretario di Stato John Kerry, l’evacuazione dell’ambasciata Usa in Libia è dovuta a un “rischio reale” per il personale della sede diplomatica.

Per gli americani l’addio a una Libia presentata a suo tempo come l’icona del sostegno della presidenza democratica alle “Primavere arabe” acquista un sapore ancor più amaramente contradditorio alla luce delle dichiarazioni rese da Obama dopo l’uccisione di Gheddafi.
“Gli Stati Uniti e la comunità internazionale hanno un impegno con il popolo libico. Voi avete vinto la vostra rivoluzione. Noi ora saremo al vostro fianco mentre voi costruirete un futuro di dignità, libertà e opportunità” – promise Obama il 20 ottobre 2011.

Intanto gli scontri continuano e i morti aumentano, il governo ad interim ha lanciato ieri un ennesimo appello a fermare i combattimenti e a evitare “il crollo dello Stato”.
Ma la Libia appare già da tempo sull’orlo del baratro, baratro da cui anche gli americani oggi si sono voluti allontanare.

2014-05-17T222636Z_1962292730_GM1EA5I0HUD01_RTRMADP_3_LIBYA-VIOLENCE-kBpC-U10301094885639Cf-568x320@LaStampa.itIn Libia la situazione precipita, un convoglio di blindati è entrato a Tripoli e si è diretto verso la sede del Parlamento.

L’offensiva è stata sferrata dalle milizie del ex generale Khalifa Haftar,  uomini armati hanno costretto i parlamentari a lasciare il Parlamento poi, hanno appiccato il fuoco. Gli scontri si sono estesi anche in altre zone.

Khalifa Haftar, ex generale in pensione scomunicato dal governo, si è messo a capo di un esercito paramilitare autoproclamato “Esercito nazionale libico”, formato da molti ufficiali del regime che hanno abbandonato Gheddafi.

Il governo libico ha accusato Haftar (che ha denominato la sua operazione “Dignità della Libia”) di attuare un golpe, per questo sono stati vietati tutti i voli sulla Cirenaica, già centro della rivolta che nel 2011 aveva portato agli scontri e alla caduta e morte del colonnello Ghedafi. Visto che le forze di Haftar hanno usato anche velivoli per i loro attacchi, Tripoli ha avvertito che qualunque aereo dovesse sorvolare Bengasi verrà abbattuto.

Tutte la minacce del governo sono cadute nel vuoto, Haftar, che accusa il potere centrale ad interim,” di non avere mandato” è determinato a portare avanti la sua campagna armata motivata con la necessità di ripristinare l’ordine e debellare le milizie islamiche.

A Bengasi i combattimenti tra i paramilitari di Haftar e le milizie integraliste islamiche si intensificano, l’ultimo bilancio parla di almeno 80 morti e 140 feriti.

strage-libiaSono morti ben 54 persone nel tentativo di arrivare in Italia via mare dalla Libia. Un unico superstite, un eritreo dice che sarebbero state 55 le persone imbarcate dalla Libia, e durante il percorso durato 15 giorni,  i passeggeri sarebbero morti a causa della disidratazione. Il vice Alto commissario delle Nazioni Unite commenta dicendo che è una vera tragedia che siano morte 54 persone.

Il cittadino eritreo sarebbe stato visto a largo delle coste della Tunisia da alcuni pescatori, che hanno chiamato la Guardia costiera che ha soccorso l’uomo e lo ha portato all’ospedale di Zarzis. Ricoverato per assideramento e disidratazione.

Gli altri passeggeri sarebbero di nazionalità eritrea e tra questi vi erano alcuni parenti dell’unico superstite. Nel 2012 le vittime sarebbero almeno 170.