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jovanotti_650x435Tanti sono i nomi della cultura, dello spettacolo e dello sport che si stanno mobilitando per sostenere la legge Cirinnà sulle Unioni Civili. Da Andrea Camilleri al cantante Jovanotti, dal ballerino Roberto Bolle fino alla direttrice di Vogue Franca Sozzani, il mondo della musica, della cultura e dell’editoria si è mobilitato per far sentire la propria voce e dimostrare la sua posizione al governo, alla vigilia di un voto che si rivela essere quanto mai delicato.

Le intenzioni degli esponenti del mondo dello spettacolo sono state raccolte in una lettera rivolta ai parlamentari, che è stata firmata da più di 400 persone e che si propone come una vera e propria petizione che può essere firmata e condivisa sulla piattaforma Change.org.

Secondo gli esponenti della petizione, l’Italia è ‘fuori tempo massimo’ per quanto riguarda la questione dei diritti civili, così come è stato dichiarato dalla consulta e dalla Corte Europea dei Diritti Umani. L’accordo deve quindi essere trovato e messo ‘nero su bianco’ per concedere al popolo Lgbt almeno il ‘minimo sindacale’ dopo lunghi compromessi. Secondo i firmatari, la legge non può più essere ritoccata o limitata, perché il governo potrebbe sconfinare in una legge di comodo, di facciata e che potrebbe essere intesa come lesiva per lo stesso popolo gay.

Il promotori dell’iniziativa sono stati l’artista e scrittore Sebastiano Mauri, con l’aiuto dello psichiatra Vittorio Lingiardi e dell’attore Filippo Timi e il tutto è iniziato dopo il Festival di Sanremo, una kermesse in cui i cantanti e gli ospiti hanno scelto di esibire simboli a favore delle unioni civili.

Il testo può quindi essere firmato e condiviso liberamente sul sito di petizioni più famoso del mondo, in attesa che il governo possa finalmente trovare un punto di intesa su una legge che tutti chiedono a gran voce, soprattutto l’Unione Europea di cui l’Italia fa parte e in cui le Unioni Civili sono già riconosciute da tempo.

nozze-gay-argentinaFa discutere la presa di posizione dura e anche radicale del giudice Carlo Deodato, relatore della sentenza del Consiglio di Stato che ha bocciato la trascrizione nel nostro paese delle nozze gay effettuate in altri paesi. Lo scandalo è scoppiato nella giornata di ieri, quando sono state rese note le parole di una relazione conservatrice, lontana anni luce dall’apertura che è richiesta a gran voce all’Italia da tutta la comunità europea e anche dal mondo intero.

Il nostro paese ha quindi fatto un passo indietro nella lotta ai diritti umani? Sembrerebbe proprio di sì, in quanto Deodato ha usato parole forti per spiegare il blocco di una trascrizione e la polemica è scoppiata a poche ore dalla lettura del verdetto del Consiglio di Stato che interessava i ricorsi contro gli annullamenti prefettizi.

Nella giornata di ieri i giudici si sono infatti pronunciati sull’appello che era stato proposto dal ministro dell’Interno e anche sull’appello incidentale invocato dalle coppie assistite dai legali di Lgbti-Rete Lenford e Avvocatura. I giudici hanno affermato la non trascrivibilità dei matrimoni gay contratti all’estero, mettendosi in una posizione contraria a quanto affermato da ben quattro Tar. I giudici si sono quindi appropriati il diritto di annullare gli atti di stato civile e di non trascrivere i matrimoni, rendendo di fatto nullo il legame nel nostro paese.

Pronte sono nate le polemiche sull’accaduto, in quanto la rete dei legali ha fatto notare all’opinione pubblica che il giudice Deodato è un fervente esponente cattolico, molto vicino a Comunione e Liberazione e anche alle reti di organizzazioni che si battono contro i matrimoni omosessuali. Le dichiarazioni sono arrivate dopo aver dato una ‘spulciatina’ ai suoi profili social, che sono innegabilmente schierati a favore della famiglia classica e tradizionale. Può la presa di posizione di un uomo avere influenzato il verdetto in modo così massivo? La risposta è sì, in quanto la sentenza è stata pronunciata, e ora pochi sono gli spiragli per avallare i matrimoni gay contratti all’estero nel nostro paese.

310x0_1443152683554_medium_150917_202418_to170915pa_5153Si tratta di una vicenda di cronaca apparentemente leggera, in quanto sintomatica di quanto i social e la diffusione delle notizie possano entrare nella vita di ogni giorno e ‘sconvolgere’ la quotidianità. Qualche settimana fa Elton John, cantante britannico che da anni si batte per i diritti civili e per le unioni gay, aveva espresso chiaramente la volontà di incontrare il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin, per parlare della tremenda situazione omofoba russa.

Pronta era arrivata una telefonata, o almeno così pensava il baronetto inglese, che chiedeva un colloquio sulle questioni. In realtà si era trattato di uno scherzo di due dj, ma Elton John aveva preso seriamente la cosa, pubblicando sui canali social la sua soddisfazione e il suo piacere di incontrare faccia a faccia il presidente russo per discutere finalmente gli argomenti indicati. Pronta era arrivata la risposta del Cremlino, che aveva affermato l’inesistenza della telefonata fatta dal premier russo.

Tutto si è risolto ieri, perché finalmente la vera telefonata c’è stata, e Vladimir Putin incontrerà Sir Elton John per discutere di una situazione che preme al cantante di Your Song, ma anche a tutta la comunità gay mondiale. La telefonata è stata quindi avallata dal portavoce del Cremlino Dmitry Peskov e, secondo i bene informati, il presidente russo avrebbe invitato il cantante a non prendersela per lo scherzo telefonico ricevuto, affermando che sono cose che capitano. Humour glaciale? Probabilmente sì, ma la comunità gay mondiale attende il giorno in cui i due potranno finalmente incontrarsi, in un evento che si propone più simbolico che altro. Molto deve infatti essere fatto in Russia per cambiare la crescente ondata di omofobia che interessa il paese, una situazione che sembra essere fomentata proprio dagli alti vertici dello Stato russo.

elton john putinLa questione fra Elton John e il Cremlino sembra non avere pace. Pochi giorni fa il cantante britannico, grande attivista dei diritti gay aveva esplicitamente chiesto di parlare con Vladimir Putin per discutere della sua folle presa di posizione contro i gay e della violazione dei loro diritti che da anni si perpetua in Russia.

Il cantante aveva quindi affermato che il presidente era disposto a parlargli, in quanto aveva ricevuto una telefonata di possibile accordo da parte del Cremlino. La telefonata è stata subito smentita dal portavoce Dmitri Peskov, il quale ha affermato di non sapere chi abbia parlato con il rocker, ma sicuramente non si trattava del presidente Putin. Si è trattato, quindi, di una mega burla? Il portavoce ha inoltre affermato di non avere ricevuto nessuna richiesta formale da parte di Elton John di parlare con il presidente e che qualora essa venisse fatta, il presiedente sarebbe di certo ben disposto a discorrere dell’argomento con l’interessato.

La richiesta era partita quando Elton John aveva criticato aspramente Putin e la sua linea dura contro gli omosessuali durante un’intervista rilasciata all’emittente Bbc radio. In questa occasione il cantante aveva richiesto esplicitamente di parlare con il presidente per chiarire la sua posizione nei confronti della comunità omosessuale che vive in Russia e di essere pronto a ‘demolire’ le sue ridicole posizioni su questo argomento così scottante. A seguito della presunta telefonata, sir Elton John si era quindi esposto, pubblicando dei ringraziamenti pubblici su Instagram al presidente russo per avere accettato di incontrarlo, lasciando presagire che un incontro fra i due sarebbe avvenuto al più presto.

A chi dobbiamo quindi credere? Forse Elton John è stato vittima di un imitatore? Oppure il Cremlino sta temporeggiando e aspetta che il cantante britannico invii una richiesta ufficiale per essere ricevuto dal leader russo? Staremo a vedere, intanto l’opinione pubblica si schiera a favore del cantante e di tutti i diritti della comunità omosessuale, la quale vive una forte discriminazione da parte del governo russo. Prova ne è che alcuni giorni fa Vladimir Putin ha insignito di un’onorificenza il creatore della legge omofoba Vitaly Milonov, uomo di Stato che aveva vietato mediante una legge emanata a San Pietroburgo la propaganda omosessuale nella terra del grande freddo.

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Il Cardinal Bagnasco va all’attacco contro i matrimoni gay e, in generale, contro le unioni tra persone dello stesso sesso. «È irresponsabile indebolire la famiglia, creando nuove figure per scalzare culturalmente e socialmente il nucleo portante della persona e dell’umano», afferma il presidente della Cei. Oggi Bagnasco ha aperto ad Assisi l’Assemblea straordinaria dell’Episcopato Italiano, e ha voluto parlare proprio delle polemiche riguardo alcuni Comuni italiani che stanno riconoscendo i matrimoni gay celebrati all’estero. Secondo il Cardinale, però, in questo modo assistiamo a «distinguo pretestuosi che hanno l’unico scopo di confondere la gente e di essere una specie di cavallo di Troia di classica memoria».

La famiglia, come definita e garantita dalla Costituzione, secondo Bagnasco è il presidio del nostro Paese. E anche sui figli il presidente Cei ha da dire qualcosa: «L’amore non è solo sentimento: è decisione; i figli non sono oggetti né da produrre né da pretendere o contendere, non sono a servizio dei desideri degli adulti: sono i soggetti più deboli e delicati, hanno diritto a un papà e a una mamma».

Bagnasco ringrazia poi le famiglie per essere baluardo dell’amore e del supporto tra i familiari, soprattutto in un momento di crisi come quello attuale. Crisi che secondo il Cardinale non è, in Italia e in generale in Europa, solo “economica” ma anche “culturale”. “In altri termini, potremmo dire che bisogna rifondare la politica, rimettere cioè a fuoco che cosa vuol dire stare insieme, lavorare insieme per essere che cosa. Non è un esercizio astratto, ma la premessa di ogni urgente dover fare”, continua il presidente dei vescovi italiani. Bagnasco ricorda anche il numero, in continua crescita, dei rassegnati al non lavoro, coloro che non hanno un lavoro e non lo cercano neanche, perché sfiduciati. A loro si deve rivolgere la politica, con adeguate riforme.

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Il numero uno di Apple, il CEO della casa di Cupertino Tim Cook ha fatto oggi coming out, ovvero si è dichiarato omosessuale. E si è detto orgoglioso di essere gay: «Lasciatemi essere chiaro: sono orgoglioso di essere gay, e lo considero come uno dei più grandi doni che Dio mi abbia fatto». Queste le parole, per alcuni sconvolgenti, con cui il CEO di Apple ha fatto coming out, con una lettera pubblicata sul sito di Bloomberg.

Nell’ambiente della tecnologia non si trattava certo di un segreto, e Tim Cook ha detto di non aver mai nascosto il suo orientamento sessuale. «Ma in tutta la mia vita professionale ho cercato di conservare un minimo di privacy. Vengo da radici umili e non cerco di attirare l’attenzione su di me. Apple è già una delle compagnie più osservate al mondo e mi piace che il focus rimanga sui nostri prodotti e sugli incredibili risultati che con loro i nostri clienti raggiungono». L’attenzione del mondo si sposta così sulla persona, più che sui chiaccheratissimi prodotti Apple. Di Tim Cook si sa in realtà molto poco. Sappiamo che fu scelto da Steve Jobs come suo successore, e che si trova alla guida dell’azienda Apple dal 24 agosto 2011.

Si dice che sia, con i suoi impiegati, esigente come Steve Jobs, ma il suo stile è diverso. Nell’ufficio trovano posto foto di Robert F. Kennedy e del Reverendo Martin Luther King. La stessa azienda, comunque, supporta da tempo le unioni omosessuali e ha anche partecipato ufficialmente all’ultimo Pride di San Francisco. D’altronde anche Google di recente ha appoggiato le unioni tra omosessuali, con donazioni e con Doodle. Mark Zuckerberg si è complimentato per primo con Cook per la sua scelta di dichiararsi gay: “Grazie, Tim, per averci mostrato cosa significa essere un leader vero, autentico e coraggioso”, ha scritto sul suo profilo Facebook.

nozze gay roma marinoNonostante le dichiarazioni del ministro degli Interni Angelino Alfano, il quale qualche giorno fa aveva tuonato contro la registrazione in Italia di nozze gay contratte all’estero, oggi il Sindaco di Roma Marino ha registrato ben 16 matrimoni tra persone dello stesso sesso.

Oggi il Campidoglio era blindato, visto il clima di tensione tra gli attivisti a favore del matrimonio gay e gli esponenti di Ncd. Marino ha comunque deciso di procedere con la cerimonia, nonostante la diffida formale del prefetto Pecoraro, che ha detto che in ogni caso annullerà gli atti, seguendo così la legge italiana. In piazza c’erano alcuni attivisti contro i matrimoni gay, riuniti da Ncs. Le sedici coppie di sposi, undici formate da uomini e cinque da donne, hanno visto oggi coronare un loro sogno, dopo essere state costrette a fuggire all’estero per celebrare il loro matrimonio.

Alcuni hanno anche dei figli, ridono, piangono, si fanno le congratulazioni. Marino afferma che per lui è fondamentale “che un sindaco si ponga a difesa dei diritti di tutti”. Marino ha regalato anche alle coppie una poesia di Pablo Neruda. «Un atto d’amore tra due persone non può non essere riconosciuto – spiega Marino -. Io difendo il diritto dei cittadini ad amarsi».

D’altro canto, Alfano ribadisce che “per l’attuale legge italiana, ciò non è possibile. La firma di Marino non può sostituire la legge”. Il prefetto Pecoraro, una volta che gli è stato comunicato l’evento, ha detto che procederà a chiedere al sindaco la cancellazione di queste trascrizioni, o le annullerà lui stesso secondo le prescrizioni di legge. E’ pur vero che per la legge italiana, al momento, queste trascrizioni non hanno valore, ma si tratta comunque di un atto simbolico molto importante, e si spera di un passo avanti per l’affermazione dei diritti gay e per il riconoscimento del matrimonio tra persone dello stesso sesso.

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Sono tanti gli italiani che decidono di sposarsi all’estero, in Francia, in Spagna o in uno dei tanti altri Paesi europei che permettono le nozze tra persone dello stesso sesso, proprio perché in Italia ciò non è permesso. Ultimamente molti prefetti di diverse città italiane si stavano muovendo in una direzione più aperta, che consentisse perlomeno la registrazione del matrimonio contratto all’estero anche in Italia. Decisione duramente contestata oggi dal ministro Angelino Alfano, il quale ha dichiarato che ‘in Italia non è possibile che ci si sposi tra persone dello stesso sesso, quindi quei matrimoni non possono essere trascritti nei registri dello stato civile italiano. Non è consentito dalla legge’.

Un ragionamento che non fa una piega dal punto di vista giuridico, ma che molti sindaci italiani non accettano. Per il sindaco di Bologna Merola non esiste infatti nessun motivo di ordine pubblico che impedisce la trascrizione. Anche i sindaci di Udine, Roma e Napoli si dicono contrari alla decisione di Alfano.

L’Arcigay, dal canto suo, chiede ai comuni italiani più coraggiosi di ‘disobbedire‘. In Italia, la prima trascrizione nel registro di stato civile di un matrimonio gay celebrato all’estero è stata ordinata dal tribunale di Grosseto, seguito poi da Fano, Napoli e Bologna. E lunedì anche il sindaco di Milano Pisapia si è detto favorevole alla trascrizione. Sono tanti i politici, di destra e di sinistra, che chiedono invece ad Alfano di riempire un vuoto normativo sui diritti degli omosessuali, piuttosto che cancellare quelle poche concessioni che già ci sono. Dopo che anche la Croazia ha deciso di permettere ai gay di sposarsi, in Unione Europea sono 18 su 28 gli Stati che permettono le nozze omosessuali. L’Italia sarà inclusa in questo elenco? La strada da fare verso la civiltà sembra ancora molto lunga, visto e considerato che uno stesso ministro della Repubblica si oppone in modo così palese.