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391228_10150375573304828_805819827_8300275_57599954_nNascere e crescere in un ambiente rurale, magari in una fattoria con tanti animali, diminuisce sensibilmente il rischio di contrarre malattie infiammatorie intestinali fastidiosissime e croniche, come la colite ulcerosa e il morbo di Crohn.

Lo rivela una ricerca – “Place of upbringing in early childhood as related to inflammatory bowel diseases in adulthood: a population-based cohort study in Northern Europe” (Il luogo dove si cresce nella prima infanzia correlato a malattie infiammatorie croniche intestinali in età adulta: uno studio di coorte sulla popolazione nel Nord Europa) – svolta presso l’Università di Aarhus, in Danimarca, pubblicata dallo “European Journal of Epidemiology”.

Lo studio, condotto dalla dottoranda Signe Timm per il Dipartimento di Sanità Pubblica dell’Università di Aarhus, si è basato su un campione molto vasto: 10864 persone – provenienti da Danimarca, Norvegia, Svezia, Islanda ed Estonia – nate nel periodo 1945-1971.
Ai partecipanti è stato somministrato un questionario per conoscere il luogo nel quale avevano trascorso i primi cinque anni di vita; i ricercatori hanno poi confrontato i risultati con quelli delle persone che avevano trascorso la loro prima infanzia in un ambiente urbano.

I risultati Visto l’aumento della patologie sulle quali stiamo indagando possiamo dire che ci sia “una correlazione tra tale fenomeno e la crescente urbanizzazione, dato che sempre più bambini crescono in ambienti urbani”, ha spiegato la dottoressa Timm. Le persone nate dopo il 1952 che hanno trascorso i primi cinque anni della loro vita in una fattoria con animali d’allevamento sono risultate molto meglio protette contro le malattie infiammatorie croniche intestinali più comuni rispetto alle persone nate precedentemente.

Il discrimine temporale si spiega facilmente: molto probabilmente, nelle generazioni precedenti, non c’erano grandi differenze tra il crescere in una città o in un paese rurale. Spiegazioni Lo sviluppo del sistema immunitario si perfeziona proprio durante i primi anni di vita: logico pensare che le influenze ambientali abbiano un effetto determinante nel processo.

In realtà lo studio dell’Università di Aarhus non rivela le ragioni eziologiche delle differenze registrate tra i “rurali” e i “cittadini”. Però, a questo proposito, i ricercatori hanno sviluppato una teoria secondo la quale l’esposizione a un’ampia varietà di microrganismi permetterebbe un più compiuto sviluppo del sistema immunitario. Proprio come è stato appurato per patologie respiratorie come l’asma o per le tante allergie che affliggono l’umanità industrializzata.

“L’ambiente microbico, tra città e campagna, si è molto differenziato nel corso del XX Secolo – conclude la dottoressa Timm – oggi siamo tutti esposti a molti meno batteri differenti negli ambienti urbani. Ciò potrebbe in parte spiegare i nostri risultati”.

piramide alimentare modificata2Comunicato stampa – Uno studio pubblicato sulla rivista ematologica americana “Blood” e condotto da ricercatori italiani dell’Istituto Neurologico Mediterraneo Neuromed.

Un’altro importante riconoscimento alla dieta mediterranea come potente arma di prevenzione contro gravi patologie, da quelle cardiovascolari a quelle neurodegenerative arriva  da uno studio condotto da ricercatori dell’IRCCS Istituto Neurologico Mediterraneo Neuromed di Pozzilli, in Molise, questo modello alimentare potrebbe infatti portare vantaggi anche per quella forma di infiammazione cronica non ancora manifesta a livello clinico, oggi ritenuta un fattore di rischio comune a numerose malattie croniche degenerative.

I risultati della ricerca, pubblicata sulla rivista statunitense” Blood”, considerata la più importante a livello internazionale nel campo dell’ematologia, vengono dal progetto Moli-sani, il grande studio epidemiologico condotto in Molise su 25mila persone.

L’infiammazione silente o subclinica è una condizione cronica a cui tutti siamo più o meno esposti – spiega Giovanni de Gaetano, Responsabile del Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione dell’IRCCS Neuromed – Non stiamo parlando di fasi acute, come un’influenza o una polmonite ma piuttosto di uno stato silente in cui tutti, in vario grado, ci troviamo. Questo stato infiammatorio si rileva generalmente analizzando il livello di alcuni marker, come ad esempio la proteina C reattiva, o anche il numero di piastrine e di globuli bianchi (leucociti) nel sangue. Ma se per la proteina C reattiva era stata segnalata un’associazione con l’alimentazione, per i leucociti e le piastrine nessuno ancora aveva provato a testare se esistesse un rapporto diretto con ciò che mangiamo ogni giorno”.
“I nostri dati – spiega Marialaura Bonaccio, principale autrice dello studio – indicano che la dieta mediterranea riduce significativamente il numero delle piastrine e dei leucociti. Questo ci fa  pensare che una sana alimentazione induca una riduzione del livello di infiammazione sub-clinica”.
“E’ importante considerare – sottolinea Licia Iacoviello, Responsabile del Laboratorio di Epidemiologia Molecolare e Nutrizionale dell’IRCCS Neuromed – che la popolazione oggetto di studio non aveva alcun tipo di patologia ematologica. Stiamo parlando di valori di conta piastrinica o di globuli bianchi assolutamente normali, ma leggermente spostati verso il basso o l’alto.

Questo significa che, pur nell’ambito di condizioni apparentemente normali, piccole variazioni del numero di piastrine e globuli bianchi corrispondono a un diverso stato infiammatorio, che può essere favorevolmente influenzato dalla dieta mediterranea. Non sappiamo ancora se una condizione infiammatoria silente che ci portiamo dietro per anni possa essere associata ad un diverso rischio di patologie. Il sospetto esiste, ma chiarirlo rappresenta di certo la nostra prossima sfida”.

“Le nostre analisi – dice ancora Bonaccio – indicano che un ruolo fondamentale è giocato proprio dal contenuto antiossidante e dalle fibre di cui questo modello alimentare è particolarmente ricco”.
“Questo studio – dice Edoardo Romoli, Direttore Sanitario dell’IRCCS Neuromed – dimostra come la nostra struttura voglia sempre di più avere una visione estremamente ampia della ricerca scientifica in medicina.

Lo studio di una popolazione così grande come quella esaminata dal Progetto Moli-sani, che da poco ha trovato la sua collocazione all’interno del nostro Istituto, ci proietta nella vera sfida della medicina del futuro: la prevenzione. Accanto ai nostri laboratori ed alle nostre risorse cliniche, entrambi di livello internazionale, studi di popolazione come questo permetteranno di dare un ulteriore contributo di Neuromed alla salute dei cittadini, non solo del Molise, ma di tutto il mondo”.