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COcAzJIWoAAM5UeLa decisione di Giovanni Scattone di accettare la cattedra di psicologia all’Istituto Einaudi di Roma aveva giustamente mosso un polverone nei giorni passati e la vicenda sembra essersi conclusa con la rinuncia della cattedra, annunciata pochi giorni fa al ministero dell’Istruzione.

Come si può dare torto a quest’uomo, che sebbene abbia pagato il suo debito con la giustizia non potrà mai guadagnarsi appieno la fiducia dei docenti, dei genitori degli alunni e degli alunni stessi? Si tratta di un tema di cronaca davvero molto spinoso, in quanto Scattone nel 2003 era stato condannato a cinque anni e alcuni mesi di reclusione per l’omicidio colposo della studentessa universitaria Marta Russo e, una volta scontata la pena, era tornato nel mondo del lavoro cercando un’occupazione nel mondo scolastico.

L’occasione era arrivata con la riforma della buona scuola del governo Renzi, in quanto secondo il punto di vista contrattuale Scattone aveva e ha ancora le carte in regola per occupare un posto da docente di psicologia negli istituti italiani. Non stiamo parlando di supplenze, ma di una cattedra a tempo indeterminato, così come vuole la riforma. Scattone aveva quindi accettato di buon grado questa occasione lavorativa, ma ora, dopo che l’opinione pubblica si è scagliata contro di lui, ha preferito rinunciare, dichiarando di non sentirsi più sereno e quindi di non potere accettare la cattedra a Roma che gli spetterebbe di diritto.

A conti fatti si tratta di una decisione saggia, non solo perché molti sono i mestieri che una persona può fare nella vita, ma soprattutto perché Scattone andrebbe ad insegnare psicologia, una materia molto delicata e che tanto ha a che vedere con il suo trascorso di possibile omicida e di detenuto. La madre di Marta Russo si è detta confortata da questa scelta e lo stesso hanno probabilmente pensato i docenti e i genitori dei ragazzi dell’istituto dove Scattone doveva assumere l’incarico di docente a tempo indeterminato.

insegnanteIl 14 agosto è il termine per presentare on line la domanda per acquisire delle cattedre a tempo determinato da parte degli insegnanti precari. Si tratta di una richiesta on line che fino a pochi giorni fa presentava il numero di ben 66mila iscritti, e dove le previsioni stimate dal governo arrivano a 75mila persone entro al conclusione del termine temporale.

Molti sono stati, in queste ultime settimane, gli scontri e soprattutto le opposizioni alla manovra della ‘buona scuola‘, così chiamata dal governo, che si propone di stabilizzare il ruolo di tanti insegnanti precari che puntualmente vengono assunti a settembre per essere licenziati a giugno, in un vortice poco virtuoso che porta sdegno e molta precarietà nel settore. Il problema non è assolutamente legato alla presentazione di una richiesta legittima, ma al fatto che molti insegnanti, ben 15mila, non se la sentono di accettare delle cattedre, anche se con posto a tempo indeterminato, così lontane dal posto di origine. E’, infatti, indubbio, che molti posti di lavoro legati a questa professione si trovano nei paesi del centro e del nord Italia e molte sono le domande che provengono dalle regioni del sud.

Ben 15mila docenti hanno quindi deciso di non presentare domanda volontariamente, in quanto lo spostamento, seppur a fronte di una cattedra ‘sicura’, può condurre loro a lasciare bambini piccoli, famiglie, parenti anziani. Il tutto a fronte di uno stipendio di circa 1300 euro che non può bastare da solo ad assicurare un buono stile di vita se vissuto ‘in trasferta’. Si tratta di scelte personali molto spinose che hanno sollevato un vero e proprio polverone negli ultimi giorni. Meglio lasciare tutto in nome di un posto sicuro o continuare con un precariato che potrebbe andare avanti pressoché all’infinito? Il problema principale della ‘buona scuola’ è che non tiene conto della regionalità e delle distanze e, questo fatto, si verifica ormai da anni nel nostro Paese. Non si tratta solamente di un problema che interessa gli insegnanti, ma che tocca anche gli alunni, i quali si vedono continuamente cambiare maestri o professori a causa degli spostamenti ai quali i docenti sono chiamati, con grave penalizzazione del livello della qualità scolastica.