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Nuovi minimi per le quotazioni del Brent (47 dollari al barile) e del Wti (45 dollari al barile), ben inferiori a quelli che gli analisti si aspettavano, avendo collocato a soglia 50 quello che doveva essere il prezzo senza più ritorno, quello dove gli Usa non avrebbero più potuto tenere a lungo il giogo dello “shale oil”.
Eppure, evidentemente tutti si sbagliavano ed oggi si propende a spostare ancora più in basso il livello critico, quella sorta di “supporto” naturale dei prezzi: quota 25-30 dollari al barile. E’ mai possibile.

Le dinamiche politiche (il terrorismo del califfato, il mercato clandestino del greggio, la tensione dei rapporti tra paesi arabi ed Stati Uniti, la minaccia terroristica inflitta agli Usa) fanno pensare che il greggio non si fermerà dal crollare perché il problema non è tanto di natura economica, ma è da addurre ad una “trivialità” di fondo, difficilmente risolvibile.

Poi i prezzi ritorneranno ad aumentare, la produzione non sarà più eccessiva per il mercato e la domanda assorbirà l’offerta…e tutto questo andrà a beneficio di nuovo dei maggiori produttori Opec, tra cui i paesi arabi in primis e la Russia che pure è tra le principali vittime dello “shale oil”. Vane le sue attese di sanare il “buco” di bilancio, dovuto anche alla nuova debolezza del rublo ed ai vecchi retaggi di interdipendenza con il biglietto verde.

Ribassisti, quindi, all’opera per le prossime sedute del petrolio che resta tra le materie prime più sotto osservazione del mercato, anche da parte di chi è tutto concentrato sul forex. Per quale motivo? Il petrolio è quotato in dollari e se il biglietto verde si apprezza, ne risente anche la quotazione del petrolio che continuerà a scendere mentre il rally del dollaro la controbilancerà.
Nodi e doppi nodi, meglio di quelli che è capace di fare un marinaio provetto, con il trading. Le correlazioni tra petrolio e forex sono ben fondate.