I videogiochi sono spesso considerati dei prodotti dedicati agli adolescenti o agli eterni bambinoni, che spendono ore ed ore del loro tempo davanti ad una console. Non la pensano così alcune associazioni mondiali, che li impiegano per curare traumi e migliorare la salute mentale delle persone. E’ il caso dell’associazione americana Operation Supply Drops, che impiega i giochi virtuali per curare i problemi psicologici dei veterani di guerra e il Centre for Brain Health di Dallas che li impiega per migliorare le condizioni delle persone autistiche.
Si tratta di videogiochi che ‘fanno bene’ e che vengono sempre più analizzati dagli esperti e impiegati anche in campo non ludico per migliorare le condizioni di persone che hanno subito traumi oppure soffrono di speciali patologie. L’idea di far giocare ai videogiochi i veterani di guerra è balenata, infatti, a un ex reduce, che ha compreso le potenzialità positive di questi giochi e si è occupato di fondare la società no profit Operation Supply Drops, la quale si occupa di collaborare con i produttori di software per riuscire ad inviare gratuitamente al fronte i giochi ai soldati, per riempire i tempi morti, e di impiegarli al loro ritorno per favorire una migliore integrazione sociale. Il potere dei videogiochi, anche dei più semplici e di intrattenimento non si basa, infatti, sul puro piacere di giocare, ma anche sulla grande community che c’è dietro e sulla possibilità di farsi amici tra gli appassionati di questo settore del divertimento.
Anche in Italia i videogiochi vengono impiegati da molte strutture per migliorare le condizioni dei pazienti, come ad esempio accade con Relive, un videogioco interamente nato e sviluppato a Bologna che si occupa di sensibilizzare chi ci gioca sulla rianimazione cardiopolmonare. Esempi positivi, quindi, che leggono i videogame da una prospettiva diversa, sana e socialmente utile.