A quanto sembra le opinioni sulla gestione del fisco italiano incupiscono l’orizzonte anche oltrefrontiera. Come si fa a dire che, per vulgata comune, ci si lamenta troppo e spesso? Ciò che non realizza, a dovere, la nostra politica fiscale è un’equa redistribuzione della ricchezza, in ragione della capacità contributiva di ognuno. La comprova sarebbe l’Iva. Per quale motivo?
Di anno in anno aumenta. I commercianti lo sanno bene
Si era partiti, qualche anno fa, dal 19% sino poi a passare al 22% di adesso. Ma non tutti hanno letto la clausola di salvaguardia, sulla base della quale se gli obiettivi di sostenibilità delle finanze vengono meno, scatteranno altri aumenti che condurranno l’Iva al 25,5% entro il 2018. E ciò ha giustamente il suo peso sui prezzi e renderà la vita difficile soprattutto al commercio al dettaglio che dovrà fare i conti con il rincaro dei vecchi prezzi, non potendo mantenere i precedenti ed essendo costretto a scaricare l’Iva sul consumatore finale che certamente avrà da ridire sui nuovi prezzi.
Ma qual è il punto della questione? I settori colpiti dai rincari concernono i beni essenziali, non quelli di lusso o comunque a cui si può rinunciare. Si rischia, pertanto, di deprimere ancora di più i consumi e l’economia.
Se proprio si dovesse essere costretti all’ennesima stangata fiscale, allora, perché non colpire, con una piccola limatura, dato che l’Iva è particolarmente agevolata, i settori dei consumi voluttuari e di lusso? Perché l’Iva per i ristoranti di lusso deve essere del solo 10%? Perché se si acquistano opere artistiche bisogna pagare solo il 10% d’Iva? Non parliamo, poi, dei tradizionali prodotti dietetici che, essendo rivolti ad una clientela particolarmente selezionata sono quasi sempre più cari dei prodotti normali, non immaginando che l’Iva è particolarmente bassa (solo il 4%). D’accordo che la cultura è il seme più importante per la nostra civiltà e che tale settore, nelle morse di una crisi che chiude le porte ad ogni nuova opportunità, è duramente colpito. Ma neanche sembra giusto che per un panino o un quaderno bisogna pagare l’Iva di più del doppio (il commerciante la scarica sul consumatore) rispetto a quello che pagherà il gerente teatrale.
Rischiamo secondo molti (ora si è espressa anche l’Ocse, in modo molto critico a riguardo il nostro sistema fiscale) di buttarci, francamente, la zappa sui piedi.