Un numero non spiega mai nulla, preso da solo e così è per il Piano Juncker. D’accordo che esso rappresenta un’importante opportunità per il nostro paese, tenuto conto che gli investimenti per la scuola, l’efficienza energetica, la sanità ed i trasporti sono sicuramente un modo per ritrovare quello sviluppo e quel volano di cui l’intera Europa sembra al momento patire. Purtroppo, non è abbastanza sapere che la cifra da destinare agli investimenti sarà pari a 350 miliardi. Ormai, abbiamo ben capito che prima delle gioie vengono i dolori, e che dolori! Quindi, non possiamo affatto astenerci dallo scrutare i dettagli del piano che, a quanto sembra, non sono ancora stati resi noti dallo stesso Jean-Claude Juncker.
L’effetto leva a cosa serve?
E’ preoccupante l‘effetto-leva introdotto nel piano degli investimenti presentato a Bruxelles, al punto che già si comincia a parlare di “creatività finanziaria”. Dove andremo a finire? Non staremo mica andando a nozze con gli Usa, sin dalla triste esperienza dei Mutui Subprime? Questo è stato un po’ l’episodio chiave che ha coronato l’insuccesso della finanza creativa, se mal impiegata.
Ecco, allora, il motivo di tanta preoccupazione: quale mai è il modo in cui è strutturato l’effetto leva e come i singoli paesi contribuiranno, ognuno per la sua fetta, ad alimentare il Piano Juncker, senza che ciò vada a far lievitare il debito pubblico, tanto avversato dalle regole di sana gestione degli Stati europei?
Un interrogativo che non trova ancora risposta presso i principali esponenti del mondo economico e politico che subito si sono scagliati all'”attentato” del Piano Juncker.
In effetti, si partirà da una somma iniziale ben lontana dai 350 miliardi. Saranno disponibili solo 21 miliardi, di cui 16 finanziati nell’ambito del Bilancio Europeo e 5 miliardi offerti dalla Banca Europea per gli Investimenti.
Fioccano, nel frattempo e pur se non sono chiare ancora le linee del piano, i progetti dall’Italia finanziabili, dato che una delle nostre priorità essenziali è rappresentata dal divario infrastrutturale con il resto del mondo. E nella speranza che i fondi non siano “dilapidati” in ulteriori opere inutili e dannose per l’ambiente.
Ines Carlone