Non è del tutto soddisfatta Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, nonostante la procura di Roma e il suo capo procuratore, Giuseppe Pignatone, abbia promesso di rivedere le carte di tutta l’inchiesta che ha riguardato la morte di Stefano. Il magistrato ha infatti difeso i pm che avevano condotto le indagini, Vincenzo Barba e Maria Francesca Loy, nell’occhio del ciclone delle polemiche da quando, qualche giorno fa, era stata emesso il verdetto di assoluzione per tutti gli imputati.
«Godono della mia piena fiducia, hanno fatto un lavoro egregio», afferma infatti Pignatone. Ilaria, che con i magistrati si è scontrata più volte, ha affermato: «Non sono passate nemmeno due ore e il procuratore capo di Roma ha già capito che i pm Barba e Loy hanno fatto un ottimo lavoro. I casi sono due: o il dottor Pignatone è riuscito in nemmeno due ore a studiare alla perfezione tutto il fascicolo oppure forse oggi abbiamo perso tutti del tempo».
Ci sarà comunque una revisione di tutta l’inchiesta da parte del procuratore, e forse potrebbero finire nel mirino anche i carabinieri che nel 2009 arrestarono Stefano Cucchi e lo condussero in tribunale. Oltre a loro, saranno riviste le posizioni dei medici del Fatebenefratelli e di Regina Coeli, i quali lo visitarono senza accorgersi del pestaggio che Stefano aveva presumibilmente subito. Pignatone afferma ancora: «Procederemo a una rilettura complessiva degli atti dell’inchiesta, dal primo all’ultimo foglio, per le eventuali posizioni che non sono state oggetto di processo». Il procuratore vuole comunque attendere anche le motivazioni della sentenza d’appello, prima di decidere se formalizzare una nuova indagine. Intanto sono molte le manifestazioni di solidarietà per la famiglia di Stefano, tra cui anche una lettera di Adriano Celentano al giovane: «Ciao Stefano! Hai capito adesso in che mondo vivevi? Certo dove sei ora è tutta un’altra cosa. L’aria che respiri ha finalmente un sapore. Quel sapore di aria pura che non ha niente a che vedere con quella maleodorante che respiravi qui sulla terra».