Serie A. Discriminazione territoriale, introdotta l’attenuante. E’ un termine che negli ultimi tempi sta dando numerosi spunti di discussione; discriminazione territoriale, all’interno del nostro calcio.
Sicuramente prima di 2-3 settimane fa pochi conoscevano questo termine, usato invece ora in modo massiccio per descrivere i cori denigranti verso una certa popolazione o un certo territorio. Dopo il match tra Milan e Napoli questa formula, discriminazione territoriale, è entrata prepotentemente nelle nostre case ed è al centro del vaglio degli organi calcistici federali.
Importante però differenziare la discriminazione territoriale dal vero tifo; solo pochi giorni fa era stata annullata la decisione di far giocare il Milan a San Siro a porte chiuse in seguito a cori ”discriminanti” verso il popolo napoletano tenuti in occasione di Juve-Milan.
In Lega hanno studiato un compromesso, una sorta di salvaguardia per le società calcistiche per non essere schiave dei propri ultras: “La questione non è la discriminazione territoriale ma il problema delle sanzioni” ha detto Beretta ”che così come era stato pensato e ipotizzato non va bene, perché non ottiene il risultato voluto. Tutti siamo d’accordo nel modularlo in maniera diversa, perché devono essere sanzionati i fenomeni per quello che sono e capire le dimensioni, 20 fessi scalmanati possono prevaricare 50mila tifosi per bene e far chiudere uno stadio intero”.
”Dobbiamo andare a individuare i responsabili e sanzionare il settore reale a cui appartengono, in modo che ci sia una reale attività di contrasto – ha spiegato Beretta -, il problema è che dovremmo avere delle modulazioni diverse delle sanzioni, vanno valutati gli episodi e il fenomeno per quello che sono di volta in volta. Non possiamo dare alle esigue minoranze un potere di ricatto sui club e sugli altri tifosi, significherebbe andare nella direzione esattamente contraria di a quella che vogliamo percorrere” ha concluso il presidente di Lega.