Pontida, domenica 19 giugno 2011. Parla Bossi, atteso, invocato e temuto; molti si attendono parole decisive e il tanto minacciato distacco della spina.
L’inizio sembra essere infatti all’altezza delle aspettative. Il Senatur incalza infatti la folla giunta numerosa con un’invettiva alla stampa non amica. «Questa è la risposta ai coglioni giornalisti… Altro che la Lega è rotta. Vi romperemo noi».
Quando però il discorso vira verso gli argomenti politici sulla folla piomba un inquietante silenzio. Il Capo inizia a parlare delle tasse e le idee appaiono poche, così come debole appare la vis polemica: niente parolacce, nessuna imprecazione, nessun fremito.
Un timido risveglio si nota quando Bossi inizia a parlare dell’alleanza con Berlusconi.
«Non è mica detto che alle prossime elezioni andiamo con Berlusconi», parole che suonano, tuttavia, un po’ come l’ennesimo penultimatum, l’ennesima minaccia di chi abbaia, ma non morde.
Poi arriva la stoccata a Equitalia, l’agenzia che riscuote le tasse e che talvolta avrebbe il vizietto di sequestrare automobili e abitazioni a tutti, ma soprattutto al popolo della Padania. «Una cosa vergognosa… Metteremo dei paletti» promette Bossi. E, incamminatosi per questa strada, non poteva certo mancare il riferimento alle multe per le quote latte. Bossi rivela al popolo padano che in Europa si sono sbagliati, che sono state conteggiate mucche inesistenti o troppo vecchie per dare latte, che gli allevatori sono stati trattati da malfattori, ma i furfanti veri sono altri, cioè i politici europei, ma ancor di più quelli “romani “, Casini primo fra tutti, colpevole di aver accusato il partito del Carroccio di aver lucrato sui soldi destinati alla ricerca contro il cancro. E Calderoli giunge anche a paventare il pericolo che viene dall’Europa, rappresentato da coloro che non vogliono farci bere latte padano e vogliono farci prendere l’Escherichia coli di qualche altro paese.
La successiva carta giocata dai vertici leghisti è quella del trasferimento dei ministeri al Nord. «Berlusconi aveva già firmato il documento, ma poi s’è cagato sotto» dichiara il Capo, tanto per essere chiaro, e poi prosegue però con un discorso non sempre ben comprensibile in tutti i suoi passaggi, ma il cui contenuto permette di ipotizzare il traferimento del ministero di Calderoli, quello cioè della Semplificazione, quello di Bossi, il Ministero delle Riforme per il Federalismo, quello di Maroni, il ministero dell’Interno, e quello di Tremonti, il ministero dell’Economia e delle Finanze, il tutto condito dalla disponibilità del sindaco di Monza, che avrebbe messo a disposizione la sede.
Forse nemmeno l’idea dei ministeri al nord interessa molto la base, che dopo circa venti minuti di discorso fa partire un coro: «Secessione! Secessione!», che spiazza letteralmente Bossi. Il Capo fa finta di non aver sentito e prosegue il suo discorso dicendo che il mondo è cambiato, che i principi universalisti vanno rivisti e, dopo l’urlo della folla che reclama libertà per la Padania, rispolvera un discorso buono per tutte le stagioni. «Bisogna ridurre gli sprechi, per esempio le auto blu. Io l’Audi me la sono comprata». Evidentemente però anche questo non basta al popolo leghista, che inizia nuovamente a strillare: «Secessione! Secessione!». E il Senatur, quasi spazientito, questa volta ribatte: «Volete la secessione? Ci si prepari. La Lega verrà incontro ai popoli del Nord che vogliono fare pressione sul centralismo. L’ultima volta ci mandarono contro la Magistratura. Stavolta saremo ancora più incazzati». Il popolo verde ora sembra contento.
Il discorso di Bossi ora volge al termine ed è il momento delle previsioni.
Per il futuro, quasi come se si trattasse di uno strano gioco del destino, ipotizza una futura vittoria della sinistra: gli italiani ogni quindici anni cambiano bandiera e alle prossime elezioni il voto non andrà al centrodestra, anche perchè la coalizione di governo di errori ne ha fatti molti, uno fra tutti quello di aver dato mano libera a Equitalia, che sequestra le case e le macchine ai cittadini. Sono tutti errori, a giudizio del Capo, che contribuiranno a spostare il voto dalla parte sbagliata, anche perchè, precisa il Senatur, in democrazia ognuno vota chi vuole.
E il discorso di Bossi si conclude qui.
Il “lider maximo” passa quindi la palla a Maroni, che imposta un discorso di più ampio respiro, rivendicando i successi del governo e del suo ministero contro la mafia e gli immigrati; è proprio Maroni, proposto alla base leghista quasi come il successore designato alla guida del partito, a calare il vero asso nella manica, destinato inevitabilmente a suscitare polemiche nella maggioranza di governo. Il ministro chiede al governo di impegnarsi per l’uscita dell’Italia da tutte le missioni di guerra, prima fra tutte quella in Libia, a causa della quale stanno giungendo nel nostro Paese molti, troppo profughi.
«I missili non sono intelligenti, per fermare i profughi c’è solo un modo fermare la guerra», afferma il ministro, e prosegue: «Abbiamo contro la Nato che ha detto che non può fare un blocco navale per i clandestini in uscita, abbiamo contro l’Europa che non ci aiuta e la magistratura che è a favore dei clandestini».
E qui si chiude il momento clou del grande raduno del partito del Carroccio, aperto dall’arrivo del “Trota” in tenuta da ciclista, chiuso da una bella sfilata di tutto il vertice leghista, fra cui Bricolo e Giorgetti e animato da una base un po’ disorientata di fronte ad un partito che sembra essersi troppo “romanizzato”.