La realtà aumentata, in inglese augmented reality (AR), é la sovrapposizione di diversi livelli di informazione – dati virtuali, elementi multimediali, dati geolocalizzati – che si sovrappongono ed integrano l’esperienza reale che ciascuno di noi vive ogni giorno.
Gli elementi che arricchiscono la nostra percezione, rendendola appunto “aumentata”, derivano da dispositivi mobili, come uno smartphone di ultima generazione (iPhone, Windows phone o telefonini con sistema Android), un PC dotato di webcam o di vari dispositivi di visione o di manipolazione delle informazioni sonore.
Aurasma, leader mondiale nell’ambito della realtà aumentata, propone un’applicazione, scaricata e utilizzata ormai da oltre un milione di utenti, che utilizza una fotocamera per inquadrare immagini del mondo reale, a cui viene sovrapposto uno “strato” interattivo virtuale, come un’animazione in 3D, un video o addirittura un gioco, contestualizzati nell’immagine inquadrata.
Molteplici possono essere le ricadute legate all’utilizzo di questa applicazione: si va dall’utilizzo in ambito commerciale, come già è stato fatto da alcune importanti società immobiliari californiane o da ditte produttrici di calzature, a quello nell’ambito dell’istruzione, della formazione, del cinema e dei viaggi.
Come funziona questa applicazione?
Ecco alcuni esempi: basta inquadrare le inserzioni pubblicitarie contenute nelle pagine di quotidiani o riviste per veder partire lo spot relativo al prodotto inquadrato, oppure è possibile far partire il video delle proprie vacanze semplicemente inquadrando una fotografia, oppure ancora è sufficiente inquadrare la locandina di un film per far partire il trailer.
Le opportunità offerte da questa nuova tecnologia sono pertanto molteplici, cosa di cui si sono già resi conto importanti colossi, come Paramount Pictures, una delle più importanti case cinematografiche al mondo, Mediacom e Universal, che hanno puntato su Aurasma per creare contenuti ad hoc.
Ci apprestiamo quindi a vedere una realtà deformata e arricchita attraverso le multiformi “lenti” della tecnologia: ne abbiamo veramente bisogno?